Nulla è perduto
15 maggio – 16 ottobre 2023

Una rilettura della storia europea, specialmente di quella in cui l’Europa ha concentrato le più intense prove della sua grandezza e delle sue crisi e contraddizioni, quella del XX secolo. Di quadro in quadro, pare di ricostruire la traiettoria spirituale dell’Occidente contemporaneo, cogliendo le principali domande che abitano il cuore dell’uomo.

A volte, specialmente dopo momenti difficili, abbiamo bisogno di vedere con commozione che la vita e la bellezza non s’arrendono. Questa commozione è ciò che lascia nel cuore la mostra di Illegio, che quest’anno, non a caso, trapassa l’anima fin dal titolo. «Nulla è perduto» attraversa un millennio di bellezza, dal 1135 fino al 1954, con racconti incalzanti e opere a firma degli astri più splendenti nel cielo dell’arte. È una serie di colpi di scena.

Johannes Vermeer, con il suo Concerto a tre, metafora raffinata dell’amore fedele toccato dalla grazia divina. Caravaggio, con il San Matteo e l’Angelo commissionato dal cardinale Benedetto Giustiniani, ed anche con una Buona Ventura misteriosamente collegata a lui. Vincent Van Gogh, con il Vaso con cinque girasoli, fiammante di giallo su fondo blu, e con un dipinto della sua fase impressionista dedicato ad Asnièrs.

Claude Monet, con una delle sue mistiche ed evanescenti immersioni tra le Ninfee. Franz Marc, con l’opera più emblematica dell’espressionismo tedesco e della feconda stagione del Cavaliere Azzurro, La Torre dei cavalli azzurri. Gustav Klimt, con l’enigmatico e ipnotico Medicina. Tamara de Lempicka, con quell’esercizio di fusione tra neoclassico e cubismo che è Myrto. Graham Sutherland, con l’evocativo Ritratto di Winston Churchill. E l’antica presenza di Domenico da Tolmezzo, con due sculture lignee dorate del 1492, e degli anonimi e geniali maestri vetrai della cattedrale di Chartres, a riempire tutte le pareti di una grande sala in mostra con le parti di due spettacolari vetrate composte per la facciata di quella chiesa.

Quattordici opere spettacolari, accompagnate da un apparato di documenti e foto di corredo, che però suscitano un soprassalto: tutte queste opere nessuno avrebbe mai pensato di poterle rivedere!

Sono opere distrutte o perdute, ma poi ritrovate o risorte. Alcune sono state rubate e non vi è più stata traccia di esse al mondo. Altre sono andate in cenere a causa di devastazioni e guerre o di deplorevoli incidenti. Altre ancora sono rimaste sommerse in un oblio di secoli, sebbene vi fosse notizia della loro esistenza. E come è possibile allora che a Illegio avvenga l’incontro reale con questi capolavori? È che quel che sembrava perduto può tornare, attraverso tre vie miracolose: la ricerca di collezionisti e studiosi infaticabili; la finezza della mano di artisti abilissimi; l’ingegno e la tecnologia che ridanno forma a quel che si era dissolto.

Per sette di queste quattordici opere, decisivo è stato l’apporto di Factum Arte, una realtà fondata da Adam Lowe a Madrid nel 2009, laboratorio multidisciplinare dedicato a prodigiose tecniche di rimaterializzazione di opere d’arte. Non si tratta di falsificazioni realizzate con l’intento di ingannare, ma di un intreccio di studio filologico, abilità di artisti d’oggi e tecnologie avanzate, che impressiona per i risultati che è in grado di raggiungere. L’obiettivo è riportare in vita il gesto originario del pittore del passato, rendendo possibile il miracolo di trovarci di fronte ad un’opera d’arte di colpo tornata in vita, in modo tale da non riuscire facilmente a distinguere tra queste rimaterializzazioni e gli originali capolavori.

Altre, fra le opere che si potranno rivedere in mostra ad Illegio, sono proprio le originali, da poco ritrovate. Le due sculture di Domenico da Tolmezzo, un tempo nella Pieve di Illegio, erano state rubate nel 1968 ma sono state recuperate da pochi mesi. Da poco riaffiorata dal buio anche l’incantevole Buona Ventura, appena restaurata, uscita dalla casa romana del Cardinale Francesco Maria Del Monte, gemella di quella dipinta da Caravaggio e misteriosamente collegata a lui in persona, forse per mano di un geniale fiammingo all’opera in quel momento accanto al maestro. Si aggiunge a queste un’opera di grandissimo interesse: Le Restaurant de la Sirène à Asnièrs, un olio su tela rimasto segreto fino ad oggi ma che meritava d’essere scoperto per i brividi che sa infondere, con caratteristiche tali da far pensare al bozzetto dell’omonima opera di Vincent Van Gogh del 1887, oggi esposta al Museo D’Orsay a Parigi: Illegio lo propone allo studio per la prima volta al mondo.

A completare il viaggio, quel San Matteo e l’angelo realizzato da Michelangelo Merisi detto Caravaggio con una storia avvincente e poi perduto tra le fiamme di Berlino a inizio maggio 1945, quando l’Armata Rossa conquistava la città esausta: la tela di Caravaggio – esposta accanto a due sorprendenti riproduzioni delle opere correlative, La Vocazione di San Matteo e Il Martirio di San Matteo – è stata rigenerata dalla mano eccezionale di un artista di Helsinki, Antero Kahila, capace di rimettere in atto perfettamente la tecnica del maestro.

L’uomo è una domanda di infinito, collocata in una finitezza che talvolta è un’occasione, talvolta una ferita. La mostra suggerisce una risposta di speranza. Anche attraversarla risvegliando la sola domanda, però, è già una grazia, in questa stagione di sguardi distratti o indifferenti.

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